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Castelvecchio

Un borgo, due vite, un miracolo scolpito nel paesaggio umbro

Là dove oggi la natura avvolge con il suo manto verde un silenzioso rilievo, un tempo pulsava Castelvecchio, uno dei borghi fortificati più vivi e importanti di queste terre umbre. Immaginiamo le sue giornate medievali, animate dal vociare di circa cento famiglie che trovavano riparo e protezione entro la poderosa cinta muraria di forma ellittica, un abbraccio di pietra a difesa della comunità.

Castelvecchio era un crocevia di cammini, un punto di sosta vitale per chi percorreva le antiche vie che connettevano Massa Martana, Todi e Gualdo Cattaneo. Questa sua posizione strategica non solo lo rendeva un luogo di passaggio, ma anche un centro di servizi, tanto da ospitare un ospedale per i viandanti e gli abitanti. La sua importanza era tale da esercitare la sua influenza spirituale su ben sette chiese disseminate nel territorio circostante: San Giorgio, Sant'Anastasia, Santa Cristina, San Biagio, Santa Croce, Santissima Trinità e la suggestiva pieve romanica di Sant’Ippolito, che ancora oggi incanta con la sua elegante semplicità.

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La storia di Castelvecchio non fu un racconto di quiete, ma un susseguirsi di eventi che lo trasformarono in un teatro di scontri. Tra questi, risuona ancora l'eco dell'assalto del 1377, quando Catalano degli Atti, fiero condottiero della fazione guelfa, tentò di piegare la resistenza degli abitanti, orgogliosamente ghibellini. Le robuste mura del castello si rivelarono una difesa efficace, respingendo l'attacco e salvaguardando la comunità.

Ma il destino aveva in serbo un epilogo ben più tragico. Nel 1434, la furia distruttrice delle truppe di Francesco Sforza si abbatté su Castelvecchio, radendolo al suolo. I pochi superstiti, con il cuore spezzato ma con la tenacia che contraddistingue la gente di queste terre, presero una decisione: ricostruire la propria casa, la propria vita, più a valle, in un punto nevralgico dove le strade si incrociavano.

Fu così che, intorno a un importante snodo viario, nel 1603 vide la luce il Santuario della Madonna di Castelvecchio. L'edificio, che ancora oggi domina l'abitato con le sue linee tardo rinascimentali, un linguaggio architettonico che si discosta dall'austera atmosfera medievale dei castelli circostanti, fu voluto dal lungimirante vescovo di Todi, Angelo Cesi, su progetto dell'architetto perugino Valentino Martelli. La sua edificazione nel 1604 fu un atto di devozione e memoria di un evento miracoloso avvenuto l'11 maggio 1602.

Le semplici linee esterne del santuario celano un interno ricco di tesori artistici del Seicento. L'altare maggiore custodisce con venerazione l'affresco miracoloso della Madonna con il Bambino, opera del pittore tuderte Pietro Paolo Sensini datata 1581. Nei quattro altari laterali, pregevoli tele seicentesche narrano storie sacre attraverso il pennello di Ascensidonio Spacca detto il Fantino, Pietro Paolo Sensini e Pietro Salvi da Bevagna.

Poco distante dal nuovo borgo, quasi a voler mantenere un legame con il passato, si erge la graziosa chiesetta di Sant’Ippolito, testimoniata fin dal XIII secolo. Le sue eleganti linee romaniche, con un'abside semicircolare di forma inconsueta e un paramento murario in conci bianchi e rosa, invitano alla contemplazione. All'interno, l'unica navata culmina nell'abside con un affresco seicentesco che raffigura Cristo in Croce tra San Pietro e San Paolo.

La storia del miracolo che diede origine al Santuario si intreccia con la profonda religiosità che permeava l'Umbria in quel periodo. Si narra di Simone Graziani di Sgurgola e del figlio Giacomo, tormentato da spiriti maligni, in viaggio verso il santuario di Loreto. Un improvviso temporale li costrinse a cercare rifugio in una piccola cappella lungo la strada di Castelvecchio. Lì, di fronte all'immagine della Madonna dipinta sul muro, l'uomo pregò con fervore, e il giorno seguente suo figlio ritrovò la guarigione. La notizia di questo evento prodigioso si diffuse rapidamente, attirando una folla di fedeli desiderosi di rendere omaggio all'immagine miracolosa, attorno alla quale venne poi edificata la chiesa.

Infine, la dolina di Castelvecchio, una conca carsica di notevoli dimensioni, con i suoi 250-300 metri di diametro e circa 20 di profondità, ci ricorda la lenta e potente azione erosiva delle acque sulla roccia. Le sue stratificazioni ben definite offrono uno spaccato geologico di grande interesse, un'ulteriore testimonianza della ricchezza e della complessità di questo territorio. Castelvecchio, dunque, non è solo un luogo, ma un racconto stratificato di storia, fede e natura, un'eco di vite passate che ancora risuona tra le sue pietre e le sue valli.

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