Il XVI secolo si aprì con la ferita del saccheggio, un'onta inflitta nel 1516 dal potere pontificio di Todi, reazione alla fiera autonomia di Massa. Ma l'anima indomita dei massetani non conobbe resa. Nel 1565, quando la Camera Apostolica tentò di cedere il castello ai tuderti per un cospicuo tesoro, la comunità si ribellò. Un sacrificio imponente, riscattato con undicimila scudi d'oro, in parte alleviato dalla mano benevola di Papa Pio V, venerato per sempre come protettore e benefattore.
Finalmente, la libertà tanto bramata fiorì. Per custodirla gelosamente, nel 1571 Massa si affidò alla protezione eterna del Sacro Collegio Cardinalizio e diede nuova forma al suo statuto comunale, una pergamena preziosa che ancora oggi svela l'antica saggezza amministrativa dell'"Illustre Terra di Massa nell'Umbria". Quel testo, con la sua modernità sorprendente nella brevità dei mandati delle cariche pubbliche, erigeva un baluardo contro l'ombra del potere personale, tutelando la gestione collettiva come un bene sacro. Il Podestà, i due sindaci, i quattro priori e il Consiglio dei Dieci guidavano la comunità, eletti dal sussurro di ogni capofamiglia riunito nel Consiglio Generale. Quattro camerlenghi vegliavano sui tesori, due baiuli curavano la giustizia e l'amministrazione, e un luogotenente guidava le milizie.
Quell'ordinamento del 1571, saldo come le antiche mura, resistette ai sussulti del tempo, superando persino la breve parentesi napoleonica, fino al 1860. Fu allora che un plebiscito vibrante sancì l'abbraccio al nascente Regno d'Italia. E con un regio decreto del 29 marzo 1863, il borgo assunse il nome che ancora oggi lo veste: Massa Martana. Un nome che risuona con l'eco solenne di due epoche gloriose, quella romana, nelle sillabe di "Martana", e quella medievale, nel suono robusto di "Massa", sigillando con orgoglio l'essenza profonda della sua identità.